lunedì 25 ottobre 2010

Le nuvole della sconfitta

Dedicato a quelli che ripartono sempre e comunque

“Vanno, vengono… Ogni tanto si fermano… E quando si fermano sono nere come il corvo, sembra che ti guardino con malocchio…”. Anni fa Fabrizio De André usò queste parole per descrivere le nuvole, o almeno, alcune di loro. Quelle nere, quelle buie. Ci sono giorni in cui le senti arrivare prima che si manifestino, molto prima. A volte non ti avvisano neppure. Basta il tuo sesto senso. Lo sai, punto. Ti verrebbe voglia di fischiettare facendo finta di essere affaccendato con altro, come fa il ladruncolo che viene beccato al supermercato. Ma lo sai che sono lì per te. E te le devi beccare perché ci sono anche loro. Fanno parte del grande scaffale che sta al piano di sotto, quello che contiene i libri con la copertina brutta (vedi Aria, fuoco e terra). Avanti stronze! Sono pronto…

E’ domenica mattina. Il giorno dopo la prima sconfitta. La sveglia non suona, magra consolazione. In realtà la “maledetta” non trilla per spirito di sopravvivenza. Sa benissimo che in certi giorni è meglio per lei. E appena metti le chiappe giù dal letto, sei già tornato lì. Nuvole bastarde di prima mattina. Infatti guardi fuori dalla finestra e piove che Dio la manda. Ma quello lo sapevi già, altra magra consolazione (e siamo a due). E ripensi al sesto senso che hai avuto il venerdì, il giorno dell’ultimo allenamento. Qualcosa di strano che, forse, avevi avvertito solo tu. E che ti aveva già fatto incazzare. Il sabato mattina avevi provato a fischiettare come il ladruncolo di prima dicendoti “Sei uno smidollato pessimista!”. Poi arriva il pomeriggio. Mancano pochi minuti alla fine del riscaldamento. Vedi le tue bimbe e pensi “C’è qualcosa che non va… Andate via, nuvole del cazzo!”.

Inizia la partita, porti a casa il primo set in rimonta. Dai che se ne sono andate! Ma lo vinci con una fatica disumana. Eppure sei carico, vigile e hai idee. Ti ci vorrebbe solo una siringa per iniettare i tuoi argomenti nelle gambe delle bimbe. Ma non siamo a Hollywood. E le loro gambe faticano. La testa più di tutto. Tu guardi all’insù e le vedi. Ferme e torve. Forse le hanno viste anche loro e hanno paura. Questione di abitudine ai temporali.
Ho capito! Ci vuole la danza del sole. Ma come minchia si balla la danza del sole? Nei documentari parlano solo di quella della pioggia. Che idea stupida… Time-out a manetta, cambi su cambi… Niente! E allora parti con i tuoi soliti deliri sull’orgoglio, sulle palle da tirar fuori (anche se sono femmine). Insomma… quella roba lì. Arriva il sussulto. Torna la voglia di combattere. Denti affilati e core de’ marmo. Ma non basta. Prendi cinque punti di fila in trenta secondi e vanifichi quindici minuti di camminata sulla corda come fanno gli equilibristi al circo. PATAPEM! Tutti giù per terra. L’ultimo set se ne va come il vento d’inverno. Umido e freddo. Fine delle trasmissioni.

In pizzeria torni a fare il brillante perché non vuoi infierire. In fondo è solo una partita. E’ un gioco. Ma non per te. I capelli bianchi però aiutano a fingere (a fin di bene). Loro sorridono, tutti in compagnia. Pizza, birra e gelato = 10 euro. Neanche male. “Sono la tua coscienza. Fai il bravo e sorridi anche tu, pirla…”.

E’ lunedì. Tra qualche ora te le ritroverai davanti. E sai benissimo che si aspettano da te la via da seguire. Ed è giusto così. E’ il tuo mestiere. Devi di nuovo indossare il vestito del filosofo in scarpe da ginnastica. E’ ora di rialzarsi. Subito, sempre e comunque. E si riparte da una frase. Quella che avevi fatto leggere il sabato. Perché quella è la via.

“Devi sapere che puoi vincere.
Devi pensare che puoi vincere.
Devi sentire che puoi vincere”.
(Sugar Ray Leonard)

lunedì 18 ottobre 2010

Aria, fuoco e terra

Dedicato agli inquieti che cercano un senso

Aria.
Penso che ogni tanto dovremmo fermarci e mettere il naso all’insù.
Penso che ci sono giorni in cui non vorremmo neanche alzarci dal letto perché sappiamo già che giorno sarà. Proprio in quei momenti, invece, dovremmo uscire a farci baciare dal sole e dire semplicemente “grazie”.
Penso che ogni individuo che arriva nel nostro piccolo cosmo abbia un senso. Tutti ce l’hanno. E non solo quelli che rispettiamo.
Penso che il cuore sia come una libreria con due grandi scaffali. Il piano di sopra contiene libri di sogni, speranze, amori, ricordi e condivisione. E tutti hanno una bella copertina. Li aggiungiamo, li spostiamo, li spolveriamo, li rileggiamo. Il piano di sotto contiene libri degli stessi argomenti. Cambia solo la copertina. Ma ci sono e ci devono essere anche quelli.
Penso che un abbraccio sia il più candido e sincero dei gesti. Un bacio si riesce a dare anche senza un perché. Un abbraccio no. Chi abbraccia vuole concedersi.
Penso che il sorriso sia come un piccolo fiore di campo che dovremmo regalare e regalarci un po’ più spesso. Senza se e senza ma.
Penso che un albero i cui rami si muovono cullati dal vento sia come un bambino. Assorbe umori, sputa le schifezze e quasi sempre ci restituisce ossigeno puro.

Fuoco.
Penso che a volte il mondo faccia di tutto per far sì che se ne osservi la parte peggiore. E non capirò mai il perché.
Penso che i media facciano di tutto per descrivere la terra come un mondo di mmmerda (sì, con tre m). E ne capisco il perché. I greggi impauriti sono più facili da controllare.
Penso che l’audience sia una specie di mostro con tante teste ma con un unico cervello. E dovrebbe stare all’inferno, se ne esiste uno.
Penso che spiare dal buco della serratura sia come una malattia. Siamo diventati una società di guardoni. I dottori ci sono ma sono come sedati. Basterebbe rifiutare il farmaco, loro dovrebbero intendersene.
Penso che a volte il destino è di un bastardo unico. E non puoi spiegartelo.
Penso alla persona che ha inventato la frase “se potessi tornare indietro, rifarei tutto quello che ho fatto”. Si meriterebbe delle gran testate sul naso. Ipocrita.
Penso che la pornografia “vera” non sia quella di culi e tette. Quella vera sta spesso nella domanda di un giornalista verso una madre che ha appena perso una figlia. “Signora, come si sente?”. Chissà… Un giorno manderanno in diretta anche la sberla che il giornalista si è preso in piena faccia.

Terra (la mia).
Penso che ognuno si scelga la sua terra, il luogo dove poggiare i piedi con forza.
Penso che valga sempre la pena concedersi. Nonostante gli sberloni che a volte ti tornano indietro. Scoprire le persone vuol dire rischiare. E a me piace.
Penso che ci sia tenerezza nello sguardo di una mia giovane atleta che si gira verso di me per ricevere approvazione con gli occhi. Ma vorrei che non lo facesse.
Penso, invece, di essere in paradiso quando la stessa giovane atleta mi guarda e, anche se non me lo dice, pensa “ho capito perché. Grazie”. Quello vorrei che facesse!
Penso che lo sport sia come un medico che ha mille braccia come un’immensa piovra. Sempre disponibile ad abbracciare tutti. Ma niente farmaci, solo pillole di tolleranza e voglia di superarsi. Sempre.
Penso che sparare cazzate stia diventando il mio forte. Ma ne ho bisogno come una droga. Ogni giorno di più.
Penso che, per oggi, sia arrivato il momento di rimettermi la camicia di forza. Torno a fare la brava “pecora” (è una bugia ma non ditelo a nessuno).

lunedì 11 ottobre 2010

Minch-outing

Dedicato a quelli che sanno ridere dei propri difetti

Oggi si parla così, per inglesismi. Il “brunch”, il “brain storming”, il “break”… Siamo una banda di deficienti che non sa neanche quello che dice ma, in inglese, fa figo. Una delle parole anglosassoni più utilizzate in questa era di globalizzazione che ama spiare dal buco della serratura è fare “outing”. E siccome faccio parte anch’io del mondo global-pirla, stavolta è il mio turno. Faccio “outing”!
Lo so, lo so… Alcuni maliziosi si stanno già preoccupando o sbellicando dal ridere perché pensano “Oddio, l’orso grigio è gay!!! Come Tiziano Ferro!!!”. Vi deluderò: non lo sono ancora. Oggi farò “minch-outing” (per quelli che parlano solo il dialetto, si pronuncia minchiauting). Letteralmente, far uscire minchiate.

Ebbene sì. Quando faccio l’allenatore sparo un sacco di minchiate, quasi sempre con aria seria e talvolta truce. Una specie di incrocio tra Jean-Claude Van Damme e Lino Banfi. Insomma un pazzo con un linguaggio, a volte, da scaricatore di porto. Da quest’anno sono però fortunato rispetto al passato. I genitori delle mie “bimbe” mi guardano da un vetro e non sentono quello che dico. E allora faccio “outing”, anzi “minch-outing”. Mi libero da un peso… Ahhhh… Non ho ancora cominciato e già mi sento meglio…

Per far comprendere anche ai non laureati ciò che intendo, qui di seguito troverete un compendio (per gli inglesi, un Greatest Hits) delle frasi o dei termini attraverso i quali esprimo i miei sentimenti più candidi e celestiali mentre svolgo le mie funzioni di allenatore. Ogni frase è seguita dalla sua traduzione letterale, o meglio, da quello che in realtà intendo dire davvero. Non ci sono proprio tutte, magari più avanti farò una seconda puntata. Buona lettura e, come diceva Maurizio Costanzo, buona camicia a tutti (di forza).

Ad personam - individualmente.
Ad minchiam - a casaccio.
Stai facendo il gioco della “mattonella” - per prendere la palla devi muovere i piedi, figlia mia.
Te devi da piegà - piega un po’ le gambine, patatina.
Muovi quel culo - non giocare da ferma, tesoro.
C’hai er culo pesante - ora è certo. Stai giocando da ferma, bellezza.
Lascia pensare i cavalli che c’hanno la testa grossa (rubata ad Eugenio) - stai dicendo una stupidata, amore.
Ma che c’hai al posto della testa? Una cassetta dell’elemosina? (rubata a Lino Banfi) - forse è il caso di concentrarsi un po’, fiorellino.
Salti due “gazzette” stese, manco piegate - sii un po’ più esplosiva nel salto, dolcezza.
Mò te strizzo come ‘na spugna bagnata - sono leggermente irritato con te, bella mia.
Mò te tiro un carcio in culo che te sollevo da tera - sono sempre più irritato, micetta.
Per migliorare devi cacare sangue - impegnati che ne vale la pena, angioletto.
Ma capisci l’italiano o solo il dialetto? - mi stai ascoltando, meraviglia?
Ma che te sei magnata? Il tasto del rallentatore? - dovresti essere un po’ più dinamica, mia musa ispiratrice.
Tu prima di venire in palestra bevi grappa - non ho capito bene bene bene l’ultima cosa che hai fatto, vita mia.
Ma le stronzate le sogni di notte e le fai di giorno? - scelta sbagliata, cocca.
Ma che, niente niente, sei muta? - chiama la palla, luce dei miei occhi.

Ma quando ti vede in foto, tua madre ti riconosce? - ti vedo un po’ confusa e credo che mamma sarebbe d’accordo con me, coniglietta.

Adoro le conigliette, sono come loro. Basta vedere i miei denti. In fondo mi sento un po’ come Jessica Rabbit quando diceva “io non sono cattiva, è che mi disegnano così”… (tradotto dall’inglese).