lunedì 27 dicembre 2010

Il volo dell'aquila

Dedicato a quelli che hanno paura

Voglia di guardare all’insù. Voglia di volare alto. Voglia di mettere le ali ai nostri pensieri. Voglia di soprannaturale. Quando questo accade siamo in uno stato di incoscienza vigile, come alla ricerca di un luogo perduto. Un piccolo mondo che non è terreno e del quale vorremmo essere cittadini, almeno per qualche piccolo istante. Un paese immaginario pronto ad accogliere anime inquiete alla ricerca di risposte.

Questo piccolo pianeta fantastico è la terra delle risposte. Tutti, qualche volta, desidereremmo abitarci. C’è chi lo trova nella fede, chi in una persona, altri ancora nel denaro. Quindi, dal proprio Dio, ciascuno ottiene (o pensa di ottenere) le risposte che cerca. Pochi, per fortuna, smettono di cercare e si perdono. L’oblio.

Ma se io sono l’Orso Grigio, chi è il Dio degli animali? In quale mondo vive? Così come gli uomini, anche gli animali guardano spesso al cielo. E allora deve essere lì il suo territorio, lì ci sono le risposte. E’ chiaro. Fiera, bella, sopra le teste terrene. La regina del cielo. Orso cerca Aquila… Dove sei?



“Perché punti il naso sopra la tua testa anche oggi, orso inquieto?”
“Ho bisogno di te. Cerco risposte”.
“Non essere stolto, orso. Io non do risposte. Io volo e osservo. Tutto qui”.
“E quando da lassù mi osservi, cosa vedi?”.
“Vedo un animale che tutti dipingono come un essere rude, forte, solitario”.
“Non ti ho chiesto cosa vedono gli altri in me. Ti ho chiesto cosa vedi tu”.
“Ecco. Adesso ti riconosco. Sai essere anche un animale intelligente”.
“Che risposta è?! Cosa vuol dire che so anche essere intelligente?”
“Sempre impaziente, il mio amico… Rude, forte, solitario. Sono modi di essere che servono per proteggerti. Un po’ come la tua pelliccia, ti protegge dal freddo. Ma tu, in realtà, non sei questo. O, almeno, a volte non vorresti esserlo”.
“Già… Meno male che qualcuno se n’è accorto. Vedi? Tu lo hai capito ma stai lassù”.
“Io forse so osservare meglio di altri. Ma per me è più facile. Sono un’aquila. Gli animali del tuo mondo avrebbero bisogno che tu ti concedessi un po’ di più. Dì loro quello che senti”.
“Nel nostro mondo anche un orso, se abbassa le difese, può correre seri pericoli. E tu sai bene cosa vuol dire, regina del cielo”.
“Certo che lo so. Ma se non vuoi concederti perché ti lamenti?! Hai paura?”
“L’ho già fatto. E mi sono fatto del male. Ora ho paura e tiro fuori gli artigli. Mi difendo. E’ meglio così”.
“Caro orso grigio, se quello che gli altri vedono in te ti soddisfa, allora tieni sempre gli artigli aguzzi. Ma il mondo teme gli artigli. Se, invece, vuoi che intorno a te ci sia meno paura, comincia tu”.
“E se poi sbaglio? Se abbasso la guardia e incontro qualche animale più furbo di me?”
“Il rischio c’è sempre. Sta a te decidere se ne vale la pena. Un modo ci sarebbe per correre qualche rischio in meno. Non è un metodo infallibile ma spesso funziona”.
“E quale sarebbe?”
“Gli occhi. Quelli non sanno mentire. C’è chi dice che siano collegati direttamente al cuore. Guarda quelli e abbi cura di te”.

Se n’è andata. Chissà se tornerà a farmi visita. Intanto mi levigo un po’ le unghie ma non troppo. Una cosa è certa. Il cielo ha sempre qualcosa di magico. Vola Aquila, vola… E torna a trovarmi, quando puoi.

lunedì 6 dicembre 2010

Mani

Dedicato alle sensibilità nascoste

Mani grandi, mani piccole, mani che cercano, mani che afferrano, mani costrette, mani che parlano…

Mani segnate di un vecchio che raccontano la loro vita. Ad ogni ruga una canzone. Come un menestrello in una piazza con intorno un mondo rapito dalle sue storie.
Mani chiuse di un neonato che esplora quello che ancora non conosce. Ma fiduciose di sapere. Come davanti ad una grande giostra con milioni di luci.
Mani titubanti di una donna che ha sofferto. Come un cieco che si muove in una stanza buia perché non si fida di quello che può capitarle.
Mani nervose di un uomo che non sa che fare. Come un tuffatore che deve lanciarsi dallo scoglio più alto. E non gli era mai successo. Non così in alto.

Mani che si tendono per cercare aiuto. Come un naufrago verso chi sta sulla scialuppa.
Mani felici che si afferrano nel girotondo. Il gioco della gioia con parole orribili “Giro, girotondo. Casca il mondo, casca la terra, tutti giù per terra…”. Il controsenso.
Mani che si concedono nell’abbraccio. Come un grande letto di ovatta. Morbido e rassicurante.
Mani che si addolciscono nella carezza. Come madri premurose che vestono il loro bimbo per il primo giorno di scuola.
Mani furenti che lanciano schiaffi. Come animali incattiviti che difendono il loro cibo da ladri indegni.

Mani con cinque pezzi diversi. Cinque storie, ognuna delle quali unica. E lunghe linee al centro, romanzi di vita che qualcuno finge di leggerci.
Mani e dita che ascoltano la musica. Si muovono, battono, picchiettano. Come un uccello alle prese con il suo nido per l’inverno. Ma con un ritmo preciso.
Mani che parlano per chi voce non ha. Come alberi in una giornata di vento. Parole diverse ma spesso molto più assordanti.
Mani operose che costruiscono cose. Come tanti piccoli dei che fabbricano il loro minuscolo mondo nel quale rifugiarsi.

Mani che applaudono lo sport. Come a voler dire “io c’ero”.
Mani al cielo. Come a voler urlare “io sono arrivato fin lassù, e non mi prenderete mai”.
Mani chiuse, strette in un pugno. Come a dirsi “io non mollo, cazzo! Mai!”.
Mani che grattano. Perché la speranza è una cosa buona.