lunedì 6 dicembre 2010

Mani

Dedicato alle sensibilità nascoste

Mani grandi, mani piccole, mani che cercano, mani che afferrano, mani costrette, mani che parlano…

Mani segnate di un vecchio che raccontano la loro vita. Ad ogni ruga una canzone. Come un menestrello in una piazza con intorno un mondo rapito dalle sue storie.
Mani chiuse di un neonato che esplora quello che ancora non conosce. Ma fiduciose di sapere. Come davanti ad una grande giostra con milioni di luci.
Mani titubanti di una donna che ha sofferto. Come un cieco che si muove in una stanza buia perché non si fida di quello che può capitarle.
Mani nervose di un uomo che non sa che fare. Come un tuffatore che deve lanciarsi dallo scoglio più alto. E non gli era mai successo. Non così in alto.

Mani che si tendono per cercare aiuto. Come un naufrago verso chi sta sulla scialuppa.
Mani felici che si afferrano nel girotondo. Il gioco della gioia con parole orribili “Giro, girotondo. Casca il mondo, casca la terra, tutti giù per terra…”. Il controsenso.
Mani che si concedono nell’abbraccio. Come un grande letto di ovatta. Morbido e rassicurante.
Mani che si addolciscono nella carezza. Come madri premurose che vestono il loro bimbo per il primo giorno di scuola.
Mani furenti che lanciano schiaffi. Come animali incattiviti che difendono il loro cibo da ladri indegni.

Mani con cinque pezzi diversi. Cinque storie, ognuna delle quali unica. E lunghe linee al centro, romanzi di vita che qualcuno finge di leggerci.
Mani e dita che ascoltano la musica. Si muovono, battono, picchiettano. Come un uccello alle prese con il suo nido per l’inverno. Ma con un ritmo preciso.
Mani che parlano per chi voce non ha. Come alberi in una giornata di vento. Parole diverse ma spesso molto più assordanti.
Mani operose che costruiscono cose. Come tanti piccoli dei che fabbricano il loro minuscolo mondo nel quale rifugiarsi.

Mani che applaudono lo sport. Come a voler dire “io c’ero”.
Mani al cielo. Come a voler urlare “io sono arrivato fin lassù, e non mi prenderete mai”.
Mani chiuse, strette in un pugno. Come a dirsi “io non mollo, cazzo! Mai!”.
Mani che grattano. Perché la speranza è una cosa buona.

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