lunedì 13 settembre 2010

Corto circuito

Dedicato a chi ha dei dubbi

Questa volta il “la“ me l’ha dato un libro che ho riletto di recente: Il Dubbio di Luciano De Crescenzo. Ho voluto sintetizzarlo in una frase che è comparsa ne Il Sassolino, l’aforisma della settimana, qualche tempo fa.
"Solo gli imbecilli non hanno dubbi!"
"Ne sei proprio sicuro?"
"Non ho alcun dubbio!". 


Ho sempre diffidato di chi ha fedi assolute, di chi parla sempre per frasi fatte. Una delle più clamorose è “se potessi tornare indietro, rifarei tutto quello che ho fatto”. Che ipocrisia da quattro soldi! Io, invece, se potessi sedermi sulla macchina del tempo, farei qualche sosta e cambierei volentieri qualche scena del mio film.

L’argomento è di quelli non ampi, di più. Eterni. Quindi prendo il pezzettino che mi interessa ora e ci metto sopra un po’ di sana provocazione. Il rapporto genitore-giovane atleta. Ed è un paradosso dei tempi moderni, un corto circuito. Mi spiego meglio.
Quando quelli della mia generazione, me compreso, si ritrovano in branco (che so… in pizzeria, all’uscita da scuola per recuperare i figli, nelle pause panino-birretta-via di corsa a lavorare…), sono soliti incensare i propri tempi passati. “Noi sì che eravamo indipendenti, non avevamo bisogno del cellulare, a scuola andavamo sempre col bus mica col suv di Papino, il ritrovo della compagnia non aveva bisogno di cento sms perché era sempre al solito posto-solita ora, giocavamo in cortile non alla Play, noi sì che comunicavamo veramente mica come oggi che si chatta e basta…”.

E via di questo passo. Fin qui si potrebbe anche non trovare nulla da obiettare. Ma quando rimettiamo il paletot del genitore, la faccenda cambia. La cosa più assurda è che spesso sbugiardiamo quelli che, quando abbiamo un flut di vinello fresco in mano, spacciamo ai nostri simili per essere i capisaldi della sana educazione. Fiducia, giusta indipendenza (non regalata s’intende), comunicazione e comprensione verso i nostri figli. Ah… Dimenticavo! Tolleranza verso la diversità, la migliore.

Qualcuno, però, dovrebbe spiegarmi perché spesso ce ne usciamo con minchiate (perdonate l’inglesismo) come “mio figlio non può fare sport a livello agonistico perché ha troppo da studiare”. Sentita qualche giorno fa. Oppure “alla mia bambina allaccio io le stringhe delle scarpe perché non è ancora tanto brava”. Scena vista qualche mese fa. E ancora “Oggi Giovannina non viene in palestra perché, anche se abitiamo a 500 mt. di distanza, non la posso accompagnare in macchina. E non mi fido. Sai per strada… Tanti extra-comunitari…”. Vera anche questa. Anzi, detta col massimo candore.

La cosa che mi fa più ridere, ma più spesso incazzare, è che incolpiamo un “fantomatico” sistema di tutte queste abberranti affermazioni. E’ la società di oggi, si dice. Scegliamo noi per i nostri figli, per il loro bene. Perché loro non sono ancora in grado. E magari molti di quelli in questione sono prossimi alla maggiore età. Ma non eravamo mica quelli del “bus-no suv”, del “noi indipendenti”, del “bianco e nero siamo tutti uguali”?

Io non ho certezze. Penso che la società, forse, siamo noi. Penso che dovremmo, forse, chiedere più spesso ai nostri figli il loro punto di vista. Penso che se nostro figlio sia convinto di potersi allenare tutti i giorni e riuscire anche a studiare, forse, sia meglio metterlo alla prova. Forse = dubbio. Dubbio = crescita. Crescita = indipendenza. Forse.

1 commento:

Anonimo ha detto...

corto circuito
parole sante zizì per diventare uomini bisogna sbagliare tante volte ,finchè si ha sempre la pappa pronta allora sì che si rimane in ''corto circuito''.
é sempre un piacere leggere i tuoi
pensieri mi mettono di buon umore!
comunque quella di giovannina mi è piaciuta

ciaoooooo zizì alla prossima